Note







Iacopo Fasolo

Settembre 2012


Nel 2010, in occasione della mostra alla Galleria ARKE’, avevamo percepito l’ entusiasmo e il  desiderio di Peggy Finzi nelle sue  “prove di partecipazione” ad alcuni dei modi, delle poetiche e dei movimenti generati dalla crisi del realismo. Del periodo che l’aveva vista partecipare alla Scuola di Nudo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la direzione di Luigi Tito conoscevo solo i fogli d’album 21x30 sui quali con segno pulito e fluido aveva tracciato una sola figura femminile, senza particolari caratterizzazioni stilistiche o emozioni.
Di quello stesso periodo sono apparse, da uno dei tanti anfratti dove Peggy ha lasciato dormire gruppi di lavori, non so se con noncuranza o se per verificarne la tenuta ed eventualmente la riproposizione, un fascio di carte, delle tempere di notevoli dimensioni (100x70), di forte piglio, di intensa cromaticità e di vario carattere.
Il tema è lo stesso: la figura femminile, sicuramente una modella dell’Accademia.
Ma di scolastico hanno ben poco se non forse qualche riferimento a movimenti artistici passati.
Qui l’estro e l’entusiasmo di Peggy si sono liberati, nello spazio e nel tempo che la Scuola ritagliava dalla normalità della sua giornata, consentendole di muoversi senza render conto a nessuno, neanche a se stessa, delle sue esternazioni artistiche; unico forse il suo insegnante, quasi un confessore non impositivo che, travolto da quello che l’alunna proponeva, certamente non ne avrebbe fatto parola con altri.

Una parte delle carte che ho potuto vedere sono qui esposte, organizzate espositivamente in tre aree
di diversa ispirazione.
La prima area è sistemata nella sala di ingresso e consta di tre figure verticali, delicate e sensibili; è di ispirazione più tradizionale, quasi fin de siecle.
La seconda è nella sala intermedia, con opere di una sensibilità più decisa: due di colore rosa bruno carico di grande intensità sulla sinistra, tre di una volumetria quasi scultorea a destra unitamente a due nudi distesi animati da lampi e riflessi di luce, ed infine quasi nascosto (ma in realtà maliziosamente in vetrina) un nudo sensualmente avviluppato.
Nell’ultima sala si trovano tre figure che esprimono la tortuosità dell’interiore, che ci appare e ci turba.

Ci sono altre opere che ancora non conosciamo? Può darsi. Gli anfratti non sono certamente finiti. Ma per quanto essi ci aiutino nel conoscere ed apprezzare l’arte di Peggy, noi desideriamo, e le auguriamo con tutto il nostro animo, che lei continui a lavorare, per il suo e per il nostro piacere.
Restiamo così in attesa delle sue nuove cose.
Grazie.





























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